Venerdì 25 agosto 2023

alle ore 18:00 presso Villa Belvedere già Radicati a Saluzzo

verrà inaugurata

Luoghi

di

Anna Valla

a cura di Silvana Peira

testo di Roberto Baravalle

J’espère que vous veuillez agréer ces exquis-mots…
(scrivo nel giorno più caldo dell’anno)


R E N D E R I N G


THIS WAY OUT E se non trovate l’uscita, son calembours vostri.
Neanche ci si potesse appropriare, approfittare (trarre profitto), trarre degli appannaggi (a – Pannacci)
da queste insondabili correnti – a – mano, (mancorrenti), scritture, segni – certo. Ma segno è troppo
poco. Segnali, piuttosto, (di fumo?) o veri e propri Esse O Esse.
Salvate le nostre anime, che ne abbiamo bisogno.
Del resto, autentico risparmio ecologico, con la dovuta green economy, ci sarebbe se, ad esempio, i
segni-segnali fossero tracciati con chiodi, meglio ancora di garofano, sui muri calcinati, con chiodi
arrugginiti eventualmente, da qualche Abate Faria. Si risparmierebbero tele. E altri supporti.
Se l’Abate, dalla sua cella, priva di copertura, non riuscisse ad agganciare nessuna cellula e urlasse
con toscano accento: “Ma qui ‘un c’è hampo…”
E se fosse solo quello il problema. Se ci fosse un’uscita….
THIS WAY OUT. Se c’è, ci fosse un’uscita…
Se il prigioniero lavorasse col suo chiodo arrugginito, sul muro salnitrato, per anni, forse decenni.
Indicasse, col tempo, una via. Vecchi segni su vecchie pietre ma, ora, con i nuovi piani, pianisequenza,
qualcosa seguirà anche se non rimanesse muro su muro.
Tutto sarà rinnovato. E questo è il rendering: persone decorose su prati pettinati. Persone
sapientemente assortite sotto il profilo etnico. Agli incroci, le auto, opportunamente disposte,
danno la precedenza che, com’era noto un tempo, non esclude prudenza e c’è qualcosa di nuovo
nel sole oggi, anzi d’antico, i piani rialzati e i porticati adeguati.
I motorini ben parcheggiati. I pali sono in sesto e la vita è sequenza di benevoli dati.
C’è anche chi corre e jogging fa. In altro contesto, il feeling lo impone, forma una squadra e mai ad
arrendersi pensa affinché la sua vita sia più intensa.
Dopo ampia disanima, perché ancora c’è un’anima, una percezione ci ottunde.
I pali sono fuori di sesto, piles are out of joint. Proprio come i tempi.
E, allora, FUORI! In trenta secondi. FUORI, FUORI!
Oggettivamente, i PNRR, quasi continentali pernacchi, lo impongono, lo prescrivono.


E’ tanta roba. E’ questo il tema.


Ma tu, hai fatto il tema di storia o quello di letteratura? Poiché non volevo impostura e neppure
impuntatura ho fatto il tema libero. Una mistura, quello centrato su di me e su di te. Parlami di te,
delle cose che senti, parlami di te, ti fa bene parlarne (Françoise Hardy,1966). Ma poi: Arriva
Lancillotto, succede un Quarantotto e …perché siam solo in otto? (Carosello Pavesi, 1965)
e…ancora
La Place Rouge était vide, devant moi marchait Nathalie…(Gilbert Bécaud, 1964) e, poi, plus de
Révolution d’Octobre
e, neppure, niente cioccolata al Café Puskin che, per fortuna non era mai
esistito.


E Anna, saettava a valle – Valla, sprezzante di spazzaneve, nell’immacolata competizione
Ella, che delle nevi è regina, a uovo disposta, all’uopo composta
già disegnava scritture e volute sul bianco elemento
e, tutti d’accordo, campionessa sarà
e, dipingendo, le sue uova del drago, prima o poi,
deporrà. Nel contempo, il semi-tun suonerà.


Il semi-tun che fa bum – bum, nella grande orchestra
che possiamo ascoltare dalla nostra finestra
nelle nostre serate, quelle più desiate.
C’è a chi piace e a chi non piace.
E quelli a cui non piace,
si possono coricare lì accanto – diceva il mio babbo.


Oh babbo, babbo, dove sei?


E’ proprio troppa roba. E poi, non è questo il tema.
Invece e piuttosto: vecchi muri, scritture che corrono, angosce che palpano, tremori che colgono.


¡Ay, Señor! Signore, coglimi nell’ora più buia, coglimi su questo pavimento di pietra, in the darkest
hour, dove tutte le strade si incrociano, quando i percorsi svaniscono e le memorie crollano.
Ed è ancora tutto un decifrare vecchi muri, vecchie iscrizioni, improvvise apparizioni.
Salvifiche. O instillanti dubbi come un vecchio Dolmen, di fronte al quale si può solo dire Amen. E
ritirarsi, tirarsi indietro, accanto a un focolare triestino, magari. Un cantuccio, un luogo caldo e
riposto. Dove si può solo accettare e il dubbio non acclarare.
Perché i pali sono fuori di sesto, anche nel loro con-testo. E tutto precipita e si sconvolge
nell’ordinato simulacro che cerchi di creare.
Creare e a-cclarare. Ci sarà finalmente ordine in questa nuova e rinnovata cre-azione, azione e
reazione. Contrazione.


E quindi. So, let us go, you and I, mentre tutto si è dissolto in sussurri.
Let us go, in questo mondo governato dall’empietà che non è, come credevamo un tempo, il
ripieno dei nostri ravioli.


THIS WAY OUT! Ma dove, per dove?


Come sarebbe bello andare a Copenhagen in carrozza, decifrando i campi e i boschi dove gli alberi
corrono come scritture!


Fino a quando, in una città, nella piazza avvolta da monumentale ombra, si compisse il prodigio
dello stupore, nel primo chiarore dell’alba finalmente giunta, nel tepore del sole primigenio che per
primo ci affratella. Un prodigio: l’inutilità delle maschere.
Nella stanchezza del viaggio, dell’andare, del verificare e decifrare.
Un prodigio. Non più urgenza di separare il grano dall’olio, consegnato esclusivamente a domicilio
dai nostri furgoni, in pratici contenitori da cinque litri.
Urgenza del glutine, allora, e di tutti gli ingredienti che uccidono.
Rumori di tumori all’orizzonte.
Ma non sarà la bellezza a salvare il mondo. Forse, neppure la chemioterapia.
Rimarremo spossati e insulsi, ma temporaneamente placati anche se, sempre, piuttosto smarriti.
Allora, cercheremo ancora i muri e sentiremo l’urgenza di vecchie pietre e delle misteriose
scritture.
Allora, forse, potremo andare miti
in quella buona notte.


Roberto Baravalle


Per Anna Valla, Luglio 2023